Mantenere un’attività fisica leggera ma regolare, come fare delle passeggiate, non può che aiutare a prevenire le malattie cardiovascolari.
La pratica di esercizi che stimolano in modo apprezzabile il sistema cardiocircolatorio (jogging, nuoto o ciclismo) diminuisce del 35% la probabilità di sviluppare ipertensione arteriosa tra le persone che ne possono essere predisposte (ad esempio, perché qualcuno in famiglia ne soffre o perché sono obese). Questo effetto preventivo si manifesta indipendentemente dalla presenza o meno di altri fattori di rischio (fumo o iperlipidemia). Inoltre, è un dato che vale a qualsiasi età.
I meccanismi d’azione
Vari meccanismi sono stati chiamati in causa per spiegare il potenziale ipotensivo dell’attività fisica:
- riduzione dell’attività del sistema nervoso simpatico, con conseguente diminuzione del tasso plasmatico delle catecolamine,
- perdita liquida conseguente all’esercizio, paragonabile a quella ottenuta con diuretici,
- aumento del tasso plasmatico di certi ormoni (ad esempio, prostaglandine ed endorfine)
- perdita ponderale nel caso di persone obese o in sovrappeso,
- rilassamento e di conseguenza diminuzione del consumo di alcolici.
L’esercizio fisico
Se l’ipertensione è moderata, l’esercizio fisico può essere il primo mezzo di trattamento non farmacologico, eventualmente associato a una dieta con poco sale e a calo ponderale. Laddove sia necessario un contenimento della pressione arteriosa più consistente, l’esercizio deve essere considerato di ausilio al trattamento farmacologico.
Quanta attività fisica? E quale?
Per essere efficace un programma di attività fisica deve comportare un minimo di tre allenamenti
settimanali di almeno 30 minuti (concedendosi tra una seduta e l’altra un giorno di recupero). Deve essere privilegiato il lavoro degli arti inferiori allo sforzo delle braccia (per esempio, con una marcia leggera o con la bicicletta).
Chi soffre di ipertensione arteriosa leggera o moderata ne può trarre sicuri benefici. Va notato però che questi effetti si verificano con esercizi di resistenza (come jogging o nuoto), mentre gli esercizi di potenza aumentano ulteriormente la pressione (come pesistica e bodybuilding) ed andrebbero evitati.
Lo sport per la salute dei cuori e dei vasi
Frequenza: tre volte la settimana, tra 40 minuti ed un’ora
Intensità: media
Tipologia: esercizi di resistenza (come il jogging o il nuoto)
In cosa consiste un allenamento?
Possiamo indicativamente suddividere ogni allenamento in tre fasi.
- I fase: 10 minuti di riscaldamento e stretching.
- II fase: 20-40 minuti di lavoro aerobico (esercizi dinamici che impongano ai muscoli coinvolti un livello di resistenza abbastanza basso e con i quali l’apporto di ossigeno non sia mai carente); durante questa fase l’intensità dello sforzo non dovrà mai superare il 50% della frequenza cardiaca massima raggiungibile dal soggetto (valore che varia a seconda dell’età, calcolato con la formula: frequenza massima = 220 – età).
- III fase: 10 minuti circa di recupero e di rilassamento.
Da un programma di allenamento di questo genere ci si può attendere un calo pressorio tra i 10 e i 20 mmHg per la pressione sistolica e tra i 5 e i 15 mmHg per la diastolica.
Nell’anziano, un allenamento moderato può diminuire la pressione arteriosa tanto quanto un allenamento intenso.
Aumentare il numero di allenamenti settimanali fino ad una cadenza quotidiana, se da un lato migliora la performance muscolare, dall’altro non diminuisce i fattori di rischio di eventi cardiovascolari.
Esercizi aerobici: attività moderata e costante di lunga durata; aumentano forza ed elesticità dei muscoli, migliorano l’efficienza di cuore, polmoni e circolazione.
Esempi: corsa, marca, bicicletta, nuoto.Esercizi anaerobici: esercizi che richiedono sforzi intensi e di breve durata.
Esempi: salto in lungo, corsa veloce.
Esistono sport più o meno adatti per chi ha avuto un infarto?
È utile premettere che oggi un’attività fisica regolare rientra nelle raccomandazioni che vengono fornite a quasi tutti gli individui che hanno avuto un infarto del miocardio e che questa è parte fondamentale di quella branca importante della cardiologia che si occupa dei pazienti che hanno già avuto un evento di malattia cardiaca, conosciuta come “riabilitazione cardiologica”.
Lo sport quindi nei soggetti cardiopatici non deve essere vietato assolutamente, come si faceva in passato, ma consigliato, controllato e valutato attentamente secondo le esigenze, i sintomi, le condizioni e caratteristiche del paziente. Come aiuto per i medici dello sport e i cardiologi esistono ad esempio da alcuni anni in Italia dei protocolli definiti da esperti cardiologi di autorevoli società scientifiche per la concessione di idoneità all’attività sportiva agonistica, che prendono anche in considerazione i soggetti “non sani”, quindi anche cardiopatici, che possono risultare utili nel consigliare il tipo di attività anche per chi non ha direttamente interessi agonistici.
In generale possiamo affermare che gli sport più indicati per i soggetti con cardiopatia ischemica sono quelli con metabolismo aerobico (perciò di resistenza piuttosto che di potenza), a medio o basso impegno cardiocircolatorio (con incrementi di frequenza cardiaca e pressione arteriosa contenuti) ed impegno agonistico non elevato: ciclismo in pianura, sci di fondo, nuoto, golf, podismo o marcia in pianura, jogging, trekking non esasperato, pattinaggio, canoa turistica, bocce, pesca sportiva, sport di tiro.
Fare attività fisica “rafforza” il cuore?
Con un’attività fisica regolare e costante il cuore diventa più resistente e più efficiente. In più abbassa la frequenza cardiaca, cioè il polso (numero di battiti al minuto, bpm): la frequenza a riposo è di 60-70 bpm, ma con l’allenamento il numero delle pulsazioni diminuisce (bradicardia) che si traduce in una riduzione del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Proprio un importante studio clinico – lo studio BEAUTIFUL – dimostra che la frequenza elevata è un indice prognostico negativo: “in pazienti con problemi cardiaci e con frequenza superiore ai 70 bpm aumenta il rischio di infarto del 37% e il rischio di morte cardiovascolare del 30%”.
Mantenendo la frequenza cardiaca a riposo di sotto di 70 bpm si guadagna in salute e anche in longevità. Il numero di battiti al minuto rappresentano infatti un vero orologio biologico: più elevata è la frequenza, minore è l’aspettativa di vita.
Misura la frequenza cardiaca a riposo: è un primo indice per verificare la condizione del tuo cuore.
I grandi atleti quanti battiti contano?
Alex Schawazer, oro olimpico nei 50 km di marcia: 28 al minuto.
Fausto Coppim, ciclista: 42 al minuto.
Miguel Indurain, ciclista: 31 al minuto.
Marcello De Dorigo, fondista: 26 battiti al minuto.