Arrigo F.G. Cicero – Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
La dieta chetogenica: un’opzione di trattamento per il paziente iperteso obeso?
L’aumento ponderale è uno dei principali fattori di rischio noti e potenzialmente reversibili per lo sviluppo di ipertensione arteriosa, anche e soprattutto nella sua forma resistente. Il calo ponderale, d’altronde, è a sua volta associato ad una significativa riduzione dei livelli pressori. Il decremento di peso ottenibile con una correzione delle abitudini alimentari e tramite una semplice riduzione del carico calorico è spesso lento, quantitativamente contenuto e sufficiente a contribuire ad un leggero calo dei valori pressori, non usualmente tale da poter normalizzare la pressione né, tanto meno, da consentire una sospensione del trattamento farmacologico.
Un ampio lavoro di rivalutazione a lungo termine di pazienti trattati con by-pass gastrico ha mostrato chiaramente come il calo ponderale sia associato ad un miglior controllo dei livelli pressori e alla riduzione del rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2. Tuttavia, questo tipo di approccio non è scevro da pericoli, peri-operatori e non. La sua indicazione è quindi limitata a pazienti affetti da grave obesità patologica.
Un approccio alternativo a quello chirurgico potrebbe essere un trattamento dietoterapico di breve-media durata, finalizzato ad un drastico calo ponderale e basato fondamentalmente su una forte restrizione dell’apporto carboidratico (Very Low Calorie Diet – VLCD). Questo approccio è stato per anni guardato con sospetto dalla classe medica (tranne che dai neurologi che lo impiegano da molto tempo per il trattamento di alcune forme di epilessia pediatrica refrattaria al trattamento standard), perché identificato con una dieta iperproteica, che in quanto tale è ritenuta potenzialmente dannosa per il carico azotato che ne potrebbe conseguire. In realtà le diete VLCD sono diete isoproteiche, in cui le proteine dietetiche restano invariate in quantità assoluta. Ciò che aumenta, invece, è la loro concentrazione relativa nel carico calorico totale, per drammatica riduzione dello stesso in funzione del drastico taglio della quota carboidratica.
La chetogenesi che deriva dall’impostazione di questo tipo di dieta da un lato riduce il senso di fame del paziente (rendendo quindi la dieta più facilmente seguibile già dopo alcuni giorni dall’inizio), mentre dall’altro induce riattivazione metabolica con forte e rapida riduzione dell’insulinoresistenza, noto fattore di rischio per lo sviluppo di ipertensione arteriosa. Il risultato finale è un rapido calo ponderale (in circa 3 mesi), pari mediamente al 10-20% del peso corporeo. La risposta è variabile in funzione della drasticità della dieta, del peso basale e dell’attività fisica svolta dai pazienti ed è combinata ad una importante riduzione dei livelli pressori sistolici e diastolici (fino a 15-20 mmHg di sistolica e 5-10 mmHg di diastolica). Paradossalmente, le diete VLCD possono essere utili anche per la gestione dei pazienti nefropatici in sovrappeso, specie se diabetici, perché l’eventuale (anche se non dimostrato) stress indotto dall’aumento percentuale (ma non assoluto) di proteine nella dieta (per un breve periodo) sembra essere ampiamente controbilanciato dall’effetto su peso corporeo, insulinoresistenza, controllo glicemico e valori pressori.
La breve durata e la rapida efficacia garantiscono usualmente una buona compliance dei pazienti, con possibilità di ripetere il ciclo di trattamento in più fasi, fino ad ottimizzazione del peso corporeo. La chetogenesi, tuttavia, è difficilmente raggiungibile con una dieta “naturale” e, pertanto, usualmente richiede l’impiego di prodotti alimentari assemblati e bilanciati ad hoc.
Questo approccio, specie sul paziente ad alto rischio cardiovascolare, deve essere prescritto da un medico dotato di una approfondita conoscenza del metodo o, comunque, da un nutrizionista esperto con supervisione costante di un medico che lo sia altrettanto. È assolutamente da evitare il “fai da te”, in particolare mischiando prodotti ad alto valore proteico di diverse aziende col rischio di sbilanciare l’apporto di alcuni aminoacidi rispetto ad altri. Al contrario, l’impiego di singoli “metodi” convalidati da una letteratura scientifica consolidata, nelle mani di un clinico esperto e consapevole, può garantire un apporto bilanciato di micronutrienti, aminoacidi ed acidi grassi essenziali per il tempo necessario all’ottenimento dei risultati richiesti.
Il dibattito, quindi, è aperto: il campo è pieno di esperti a grandemente a favore o nettamente contrari ad un approccio che – troppo spesso – è stato lasciato nelle mani della medicina “estetica”. Esso, invece, deve essere attentamente considerato anche dal clinico impegnato nella correzione del rischio cardiovascolare. In mani consapevoli, la dieta VLCD può essere, a nostro avviso, di consistente utilità nell’iperteso obeso.
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