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Rita Del Pinto, Guido Grassi *, Claudio Ferri – Università dell’Aquila –  Dipartimento MeSVA, Università di Milano Bicocca, * Dipartimento di Medicina e Chirurgia

In occasione del recente Congresso dell’American Heart Association (AHA) (novembre 2017) sono state presentate le nuove Linee Guida per la prevenzione, diagnosi e gestione della ipertensione arteriosa sistemica1. Tali Linee Guida contengono alcune fondamentali innovazioni, principalmente, anche se non unicamente, derivate dal ben noto Systolic Blood Pressure Intervention Trial (SPRINT)2.

La più importante di tali innovazioni è rappresentata dalla definizione stessa di ipertensione arteriosa. In accordo con tale nuova definizione, soltanto negli Stati Uniti una proporzione pari a circa la metà della popolazione, vale a dire circa 103.000.000 individui, sarebbe classificata come ipertesa. Come dettagliato nelle Linee Guida, infatti, le 4 categorie di pressione arteriosa, così come valutata presso lo studio medico, – ossia normale, elevata, ipertensione arteriosa di grado 1 o di grado 2 – vengono riclassificate al ribasso lungo la scala millimetrata rispetto alle precedenti Linee Guida 3, sia per gli uomini sia per le donne, allo scopo di adattarsi ai dati osservazionali relativi alla associazione continua tra pressione arteriosa elevata e rischio cardiovascolare (Tabella 1).

Tabella 1. Categorie di pressione arteriosa in accordo con le Linee Guida 2017 ACC/AHA/AAPA/ABC/ACPM/AGS/APhA/ASH/ASPC/NMA/PCNA – Guideline for the Prevention, Detection, Evaluation, and Management of High Blood Pressure in Adults

Categoria pressoriaPressione Arteriosa Sistolica Pressione Arteriosa Diastolica
Normale<120 mm Hge<80 mm Hg
Elevata 120-129 mm Hge<80 mm Hg
Ipertensione   
Grado 1 130-139 mm Hgo80-89 mm Hg
Grado 2 ≥140 mm Hgo≥90 mm Hg

Come anticipato, tale riduzione nei valori soglia per la definizione di ipertensione arteriosa è basata su evidenze cliniche ottenute da studi d’intervento, come l’Ongoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial (ONTARGET) 4 ma, soprattutto, lo SPRINT. Occorre notare, tuttavia, che l’ipertensione arteriosa non rappresentava un criterio di inclusione nello studio ONTARGET, ed effettivamente solo una proporzione di individui compresa tra il 68,5% ed 69% era ipertesa all’atto dell’arruolamento, con una pressione arteriosa sistolica media nei tre bracci di trattamento compresa tra 141,7 mm Hg e 141,9 mm Hg. Nello SPRINT, invece, sono stati arruolati esclusivamente individui sicuramente ipertesi di almeno 50 anni di età, aventi una pressione arteriosa sistolica tra 130 e 180 mm Hg (in dipendenza del numero di farmaci antipertensivi assunti: 180 mm Hg se trattati con 0 – 1 farmaco, 130 – 170 mm Hg se trattati con 2 farmaci, 130 – 160 mm Hg se trattati con 3 farmaci, 130 – 150 mm Hg se trattati con 4 farmaci) ed un elevato rischio cardiovascolare espresso dalla presenza di almeno uno tra i criteri di inclusione predefiniti [malattia cardiovascolare clinica o subclinica che non fosse lo stroke; malattia renale cronica, escluso il rene policistico, con un volume di filtrato glomerulare tra 20 e 60 ml/minuto/1,73 m2 di superficie corporea in accordo con l’equazione MDRD (Modification of Diet in Renal Disease); rischio cardiovascolare a 10 anni di almeno il 15% sulla base del Framingham risk score; oppure un’età pari ad almeno 75 anni]. Pazienti con diabete mellito o, come anticipato nei criteri di inclusione, pregresso stroke erano esclusi dallo SPRINT. La pressione arteriosa diastolica non era considerata come criterio di inclusione e/o esclusione.
I partecipanti, nei due bracci di trattamento, erano omogeneamente distribuiti tra i 3 intervalli predefiniti di pressione arteriosa sistolica basale: ≤132 mm Hg, 132 – 145 mm Hg, ≥145 mm Hg (Tabella 2).

Tabella 2. Distribuzione dei partecipanti arruolati nello studio SPRINT (n, %) secondo intervalli predefiniti di pressione arteriosa sistolica basale  

 Intensivo
n. 4678
NON intensivo
n.4683
≤132 mm Hg     1583 (33,8)        1553 (33,2)
132mm Hg – 145 mm Hg1489 (31,8)1549 (33,1)
≥145 mm Hg1606 (34,3)1581 (33,8)

Orbene, è ben noto sia come nello studio SPRINT i pazienti fossero stati randomizzati ad un trattamento intensivo oppure ad uno standard, con l’obiettivo di raggiungere una pressione arteriosa sistolica <120 mm Hg o <140 mmHg, rispettivamente, sia come ciò sia sostanzialmente quello che è accaduto. Dopo 1 anno, infatti, la pressione arteriosa sistolica media era pari a 121,4 mm Hg nel braccio di trattamento intensivo e 136,2 mm Hg in quello standard (differenza media = 14,8 mm Hg). Similmente, allo stesso tempo la pressione diastolica media era pari a 68,7 mm Hg nel braccio di trattamento intensivo e 76,3 mm Hg in quello standard. Sostanzialmente, le differenze sisto-diastoliche persistevano per tutta la durata del follow-up di riferimento (3,26 anni). Per quanto attiene gli esiti cardiovascolari e la mortalità totale, l’outcome composito primario (infarto del miocardio, sindrome coronarica acuta senza infarto, stroke, scompenso cardiaco acuto, oppure morte cardiovascolare) si verificava in 243 pazienti (1,65% per anno) nel braccio di trattamento intensivo ed in 319 pazienti (2,19% per anno) in quello standard [hazard ratio (HR) = 0,75; Intervallo di confidenza (IC) al 95% = 0,64 – 0,89 – p <0,001). Il beneficio netto della maggiore riduzione di pressione arteriosa sistolica era principalmente conseguente ad una ridotta incidenza di scompenso cardiaco (HR = 0,62  – I.C. al 95% = 0,45-0,84 – p = 0,002). Veniva anche documentata una chiara riduzione nella mortalità totale (HR = 0,73 – I.C. al 95% = 0,60-0,90 – p = 0.003). Questo dato era consistente in tutti e tre i range predefiniti di pressione arteriosa sistolica basale ed, anzi, il rischio inferiore di eventi si osservava nel range di pressione arteriosa sistolica basale più bassa (Tabella 3).

Tabella 3. Hazard ratio (95% C.I.) per  l’outcome composito primario secondo range predefiniti di pressione arteriosa sistolica basale

 ≤132 mm Hg0,70 (0,51-0,95)
 >132 mm Hg – <145 mm Hg0,77 (0,57-1,03)
 ≥145 mm Hg0,83 (0,63-1,09)

In conseguenza e sulla base delle suddette osservazioni, la Task Force chiamata alla definizione delle nuove Clinical Practice Guidelines ha convenuto di ridefinire al ribasso i valori di normalità della pressione arteriosa sistemica. In termini di raccomandazioni terapeutiche, la stessa Task Force si esprime tuttavia con una certa prudenza, suggerendo l’intervento farmacologico solo a partire dalla diagnosi di ipertensione di grado 1 con concomitante malattia cardiovascolare clinicamente evidente oppure con rischio cardiovascolare a 10 anni almeno pari al 10%. Cosa ancor più importante, le Linee Guida raccomandano in tutti i casi il raggiungimento di un target pressorio inferiore a 130/80 mm Hg, con classe di evidenza I in presenza di malattia cardiovascolare manifesta oppure rischio cardiovascolare a 10 anni ≥10% e classe di evidenza IIb in assenza di tali condizioni, precisando che specifiche popolazioni, quale quella di ipertesi ad elevato rischio cardiovascolare, potrebbero beneficiare di un target pressorio inferiore (pressione arteriosa sistolica <120 mm Hg).

In questo contesto, l’obiezione che potrebbe esser mossa alle nuove Linee Guida nord-americane riguarda la possibilità che le pressioni arteriose misurate nel contesto dello studio SPRINT potrebbero non essere state – davvero – così basse quando traslate dallo studio clinico alla ordinaria pratica clinica. Durante lo stesso Congresso dell’AHA in cui le linee guida sono state presentate, infatti, si è precisato come la pressione arteriosa sia stata misurata nello studio SPRINT in maniera diversificata nei vari centri, e comunque in modo totalmente differente rispetto alle metodologie usate negli studi clinici controllati sinora condotti. In particolare, si è riportato che le misurazioni pressorie in presenza di operatore (attended) riguardavano 2247 participanti in 25 centri, quelle in assenza dell’operatore (unattended) 4082 participanti in 38 centri, mentre i partecipanti lasciati da soli esclusivamente nel periodo di riposo (cioè mentre attendevano che la pressione venisse misurata automaticamente) oppure esclusivamente durante la misurazione pressoria vera e propria (partially unattended) erano, rispettivamente, 1746 in 19 centri e 570 in 6 centri. Non considerando alcuni sottogruppi di pazienti effettivamente troppo piccoli per consentire di trarre conclusioni, non sarebbero state riportate differenze relativamente agli outcome in base alla sopracitata difformità nelle modalità di rilevamento della pressione arteriosa. Pur tuttavia, va rilevato come la pressione sistolica ambulatoria media diurna riportata per un sottogruppo di pazienti dello studio SPRINT (n=453 nel braccio intensivo e n=444 nel braccio non intensivo) risultasse essere inaspettatamente più elevata rispetto a quella clinica misurata “protocollarmente” (pressione arteriosa sistolica ambulatoria media diurna = 126,52 ± 12,32 mm Hg nel braccio di trattamento intensivo, 138,78 + 12,57 mm Hg in quello standard; pressione arteriosa sistolica media clinica =  119,67 ± 12,84 mm Hg nel braccio di trattamento intensivo, 135,48 ± 13,77 mm Hg in quello standard) 5. Stante questa divergenza, sia pur rilevata in meno di mille tra tutti i pazienti dello studio principale, è possibile che la pressione arteriosa clinica nel contesto dello studio SPRINT sia stata sottostimata, forse principalmente come effetto dell’eterogeneità nel metodo di misurazione pressoria adottato. La stessa Task Force commenta, a riguardo dell’obiettivo pressorio nei pazienti ipertesi in trattamento, che i valori pressori ottenuti nel contesto dei trials clinici di riferimento si avvicinavano ai valori raccomandati più di quanto non accada nella comune pratica clinica, risultando in valori pressori assoluti inferiori e giustificando così la scelta di un target di pressione sistolica più elevato (<130 mmHg) di quello usato nello SPRINT. Alla luce di ciò, è facilmente prevedibile che – già nell’immediato – un fiume di inchiostro seguirà la ridefinizione delle categorie di pressione arteriosa operata dalle Linee Guida americane.

Bibliografia

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