A cura di Francesco Cava, Carmine Savoia, Dipartimento di medicina clinica e molecolare, Ospedale Sant’Andrea, Sapienza Università di Roma
Nell’ambito della strategia terapeutica della fibrillazione atriale, particolare attenzione va riservata alla terapia anticoagulante soprattutto in alcune categorie di pazienti al fine di ridurre il rischio di sanguinamenti e preservare l’efficacia antitrombotica. Nei pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) in presenza di sindrome coronarica acuta (SCA), che siano stati sottoposti o meno ad angioplastica e impianto di stent coronarico, l’associazione della duplice terapia antiaggregante piastrinica con un anticoagulante orale (triplice terapia antitrombotica, TAT) va attentamente valutata. La TAT infatti aumenta il rischio di sanguinamenti maggiori e fatali.
Recentemente, numerosi trial hanno valutato regimi terapeutici alternativi alla TAT al fine di controllare il rischio emorragico e preservare l’efficacia antitrombotica in determinate categorie di pazienti. L’analisi dei dati di network-metanalisi1, 2di studi randomizzati, inclusi gli studi WOEST, PIONEER-AF PCI, RE-DUAL PCI e AUGUSTUS, relativamente all’associazione della terapia anticoagulante con la terapia antiaggregante in pazienti con SCA, ha evidenziato l’importanza di individualizzare la terapia anticoagulante nei pazienti con FA in duplice terapia antipiastrinica (DAPT: inibitore delle ciclossigenasi – aspirina – associato a inibitore del recettore piastrinico P2Y12) sottolineando altresì l’efficacia antitrombotica e la sicurezza in termini di contenimento dei sanguinamenti della duplice terapia antitrombotica (antiaggregante piastrinico e anticoagulante orale diretto, DAT) come regime terapeutico alternativo alla TAT di lunga durata. Questo assunto è stato recentemente ripreso ed esteso in una recente metanalisi sull’utilizzo della terapia antitrombotica in pazienti con FA e SCA che si sottoponevano ad angioplastica coronarica3 nei quali si è ulteriormente evidenziato il beneficio, in termini di riduzione dei sanguinamenti maggiori e fatali, dell’utilizzo della DAT rispetto alla TAT, a fronte di nessuna differenza statisticamente significativa rispetto agli eventi cardiovascolari maggiori. Tuttavia in questa metanalisi sono stati esclusi i pazienti con trombosi intrastent, che meritano ulteriore approfondimento.
Un altro aspetto importante è relativo alla tempistica di inizio della DAT e alla durata in pazienti con SCA che siano andati incontro a rivascolarizzazione percutanea. Sulla base delle evidenze degli studi randomizzati, le attuali linee guida europee sulla fibrillazione atriale, sulla sindrome coronarica acuta e le sindromi coronariche croniche (SCC) danno indicazione sulla durata della TAT per un periodo compreso tra una settimana a un mese in base al rischio trombotico ed emorragico del singolo paziente, al fine di evitare, o quanto meno ridurre al minimo, i sanguinamenti maggiori e fatali mantenendo tuttavia l’efficacia in termini di prevenzione degli eventi ischemici.
La scelta del tipo di anticoagulante rappresenta un elemento altrettanto rilevante nella gestione di questa tipologia di pazienti. Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) a dosaggio massimo sono indicati con classe di raccomandazione I per la prevenzione degli eventi cardioembolici in pazienti con SCA/SCC e FA. I dosaggi raccomandati per i DOAC attualmente utilizzati sono di seguito indicati: dabigatran 150 mg bid, rivaroxaban 20 mg/die, apixaban 5 mg bid, edoxaban 60 mg/die. L’ eventuale riduzione del dosaggio va valutata in relazione alle caratteristiche farmacologiche dei singoli farmaci e alle caratteristiche cliniche del paziente (peso corporeo, insufficienza renale cronica, storia di sanguinamenti, ictus). In particolare, le linee guida raccomandano l’utilizzo di due DOAC a dosaggio ridotto (dabigatran al dosaggio di 110 mg b.i.d. e rivaroxaban 15 mg/die) in relazione alle comorbilità del paziente.
Per quanto riguarda l’uso degli antiaggreganti piastrinici, il clopidogrel, l’inibitore del recettore P2Y12, è considerato il farmaco di scelta da utilizzare per 12 mesi in pazienti con SCA, mentre non è raccomandato l’uso di prasugrel o ticagrelor nel periodo di utilizzo della TAT (classe di raccomandazione III). Infatti, le evidenze relative a prasugrel e ticagrelor sono limitate essendo stati utilizzati solo in un piccolo campione di pazienti arruolati in regime di DAT nei 4 studi sopra riportati. Tuttavia l’uso di prasugrel o ticagrelor in combinazione con anticoagulanti orali è consentito dalle attuali linee guida per le sindromi coronariche croniche, con classe di raccomandazione IIb4, e potrebbe rappresentare un’alternativa in regime di TAT a breve termine in pazienti selezionati con SCA. L’aspirina va utilizzata nel periodo peri-procedurale a basse dosi (≤100 mg/die) con un mantenimento per un periodo di tempo che può arrivare fino a 6 mesi in base alla valutazione del rischio di sanguinamento/trombosi5.
Dopo 12 mesi dalla PCI, la TAO è generalmente indicata in monoterapia, senza l’aggiunta di farmaci antipiastrinici a meno che prevalgano considerazioni specifiche di rischio trombotico (es. stent posizionato nel tronco comune o a livello dell’arteria discendente anteriore prossimale, ultimo vaso pervio, risultato subottimale dell’angioplastica coronarica) (Figura).
Figura. Strategia terapeutica post-procedurale in pazienti affetti da FA e cardiopatia ischemica (SCA/SCC)
2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation. European Heart Journal 2020. doi/10.1093/eurheart/ehaa612
Negli ultimi dieci anni, numerose evidenze da studi di controllo randomizzati hanno guidato il processo decisionale del medico nella gestione della terapia anticoagulante e antiaggregante nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica ed FA, sottolineando altresì la complessità della gestione di questa tipologia di pazienti. Pertanto, al fine di istituire un adeguato piano di gestione a breve e lungo termine, la scelta della terapia antitrombotica nei pazienti con SCA e FA deve tenere conto di fattori demografici (ad es. sesso, età, peso corporeo), procedurali (dimensione e posizione dello stent, gravità della malattia), rischio di sanguinamento e rischio trombotico/ischemico che va ragionevolmente individualizzata sul singolo paziente.
Bibliografia
1. Lopes RD, Hong H, Harskamp RE, et al. Safety and efficacy of antithrombotic strategies in patients with atrial fibrillation undergoing percutaneous coronary inter- vention: a network meta-analysis of randomized controlled trials. JAMA Cardiol 2019;4:747-55.
2. Alkindi FA, Rafie IM. Anticoagulation in patients with atrial fibrillation and coronary artery disease. Heart Views 2020;21(1):32-36.
3. Kuno T, Ueyama H, Ando T, Briasoulis A, Takagi H. Antithrombotic therapy in patients with atrial fibrillation and acute coronary syndrome undergoing percutaneous coronary intervention; insights from a meta-analysis. Coron Artery Dis 2021;32(1):31-35.
4. Knuuti J, Wijns W, Saraste A, et al. 2019 ESC Guidelines for the diagnosis and management of chronic coronary syndromes. Eur Heart J 2020;41:407-77.
5. Lip GY, Collet JP, Haude M, et al. 2018 Joint European consensus document on the management of antithrombotic therapy in atrial fibrillation patients presenting with acute coronary syndrome and/or undergoing percutaneous cardiovascular interventions: a joint consensus document of the European Heart Rhythm Association (EHRA), European Society of Cardiology Working Group on Thrombosis, European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI), and European Association of Acute Cardiac Care (ACCA) endorsed by the Heart Rhythm Society (HRS), Asia-Pacific Heart Rhythm Society (APHRS), Latin America Heart Rhythm Society (LAHRS), and Cardiac Arrhythmia Society of Southern Africa (CASSA). Europace 2019;21:192-3.