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A cura di Arrigo F.G. Cicero, Federica Fogacci, Centro ricerche su Ipertensione arteriosa e fattori di rischio cardiovascolari correlati, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna

E noto come un pattern dietetico di tipo vegetariano sia associato a minor rischio di sviluppare ipertensione, diabete di tipo 2 ed obesità e, di conseguenza, presumibilmente anche di scompenso cardiaco.

In uno studio osservazionale condotto dalla Loma Linda University e dall’Università della California è stata studiata l’associazione fra pattern dietetico vegetariano (definito tramite la somministrazione di un questionario alimentare validato di tipo quantitativo) e markers ecocardiografici di insufficienza cardiaca di stadio B. Gli ecocardiogrammi sono stati interpretati utilizzando criteri standardizzati.

I soggetti arruolati erano soggetti globalmente sani residenti nel sud della California, partecipanti più anziani della coorte Adventist Health Study-2. Esclusi i soggetti per i quali i dati raccolti fossero incompleti o con neodiagnosi di patologia cardiovascolare, sono stati arruolati 133 soggetti di età >60 anni (età media 72,7 ± 8,7 anni), il 48,1% erano donne, il 33% erano afroamericani e il 71% erano vegetariani. I non vegetariani avevano un peso corporeo più elevato (80,3±15,17 kg contro 71,3±16,2, p<0,005), superficie corporea (1,92±0,24 m2 contro 1,81±0,22 m2, p=0,01) e prevalenza di ipertensione (59,3% contro 35,3 %, p<0,04). Adeguandosi per età, sesso, razza e attività fisica, i vegetariani avevano una maggiore velocità dell’e’ anulare mitralica ecocardiografica (una misura del rilassamento del ventricolo sinistro) 7,44 vs 6,48 (non vegetariani) cm/s (P=0,011); e un contrasto ancora maggiore quando i vegani (7,66 cm/s, P=0,011) erano il gruppo di interesse. Anche il rapporto tra la velocità del flusso mitralico diastolico medio e tardivo (E/A) era maggiore nei vegani rispetto ai non vegetariani (rispettivamente 1,02 e 0,84, P=0,008). Le analisi di mediazione hanno suggerito che queste associazioni potrebbero essere in parte correlate a pressioni arteriose e indici di massa corporea più elevate nei non vegetariani.

Lo studio ha un limite importante di base, perché non prende in considerazione la durata dell’abitudine vegetariana/vegana. Si potrebbe supporre che l’effetto sia maggiore per esposizioni maggiori, tuttavia questo dovrebbe essere dimostrato. Un altro problema è l’impossibilità di inferire questi risultati a soggetti non sani, già ipertesi o complicati da patologia cardiovascolare, perché non è chiaro se lo stravolgimento in direzione vegetariana/vegana delle abitudini alimentari a questo punto della storia patologica del paziente possa avere lo stesso outcome positivo. Infine, da tenere presente che la dieta vegetariana, ed ancora di più la vegana, è un rischio per lo sviluppo di sarcopenia (anche magrezza sarcopenica) che di per sé è un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari.

In conclusione, i vegetariani, in particolare i vegani, sembrano avere un miglior rilassamento del ventricolo sinistro e meno anomalie diastoliche rispetto ad altri. Poiché l’esposizione alimentare è modificabile, si può ipotizzare, in attesa di ulteriori indagini, sul potenziale di riduzione dell’insufficienza cardiaca di stadio B e della successiva mortalità. Il dato dovrà essere rivalutato in soggetti con vari gradi di patologia dall’ipertensione arteriosa allo scompenso cardiaco iniziale.

Bibliografia

Varadarajan P, Pai RG, Fraser GE, Abramov D, Jabo B, Mashchak A, Herring P, Burton B, Sveen LE, Knutsen SF. Left Ventricular Diastolic Abnormalities in Vegetarians as Compared with Non-vegetarians. Br J Nutr 2022; 20:1-28.