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A cura di Saverio Fabbri, Maloberti Alessandro, Cardiologia 4, ASST GOM Ospedale Niguarda, Milano, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università Milano-Bicocca, Milano

Introduzione

La malattia cardiovascolare (CVD) è ancora oggi la principale causa di morte in tutto il mondo, responsabile di circa 17,8 milioni di morti nel 2017. Oltre ai noti fattori di rischio cardiovascolari sta emergendo negli ultimi anni un ruolo sempre più importante di una molecola scoperta già nel 1963 da K. Berg: la lipoproteina (a). Il 70-90% del suo valore è su base genetica mentre minima è l’influenza da parte dei fattori ambientali. La relazione tra la Lp(a) e la malattia aterosclerotica è risultata ben consolidata in studi epidemiologici, metanalisi e in studi di randomizzazione mendeliana dimostrando l’associazione tra la sua alta concentrazione e sindrome coronarica acuta e cronica, stenosi valvolare aortica ed ictus ischemico. Sebbene il collegamento tra CVD e lp(a) sia ormai ben chiaro non esistono attualmente farmaci approvati per la riduzione dei suoi livelli ma grandi novità sono in arrivo.

 

Struttura e metabolismo

La lipoproteina(a) è una lipoproteina aterogena costituita da una glicoproteina polimorfa apo(a) legata covalentemente ad una porzione di lipoproteina contenente apoB100 costituita da un nucleo di esteri del colesterolo e triacilgliceroli a sua volta circondato da un guscio di fosfolipidi e colesterolo libero.

L’Apo(a) è una glicoproteina polimorfa caratterizzata dall’avere una elevata omologia strutturale con il plasminogeno. Questo presenta diversi domini proteici caratterizzati da una struttura a triloop e chiamati kringles (come i dolci danesi) e un dominio di proteasi. A differenza del plasminogeno la lp(a) presenta solo una copia del KV, un dominio con una serina proteasi inattiva, e dieci sottotipi del KIV (KIV1-KIV10) a causa di diverse sostituzioni amminoacidiche con una predominanza del sottotipo KIV2 che risulta essere ripetuto in più copie. La sintesi della Lp(a) si verifica nel fegato, regolata dal gene LPA espresso sul braccio lungo del cromosoma 6, con minima o nessuna influenza dei fattori alimentari e ambientali sulla regolazione della sintesi.

I livelli di plasma Lp(a) derivano dall’espressione codominante di 2 alleli LPA. Come tale, in ogni dato individuo, il livello di plasma Lp(a) rappresenta la somma dei contribuiti di ciascun allele. La maggior parte degli individui ha 2 isoforme Lp(a) circolanti rilevabili, ognuna di dimensioni diverse con l’isoforma più piccola che è solitamente presente a livelli più elevati nel plasma.

Tra il 70-90% della variabilità nelle concentrazioni plasmatiche di Lp(a) è determinata geneticamente. Nel complesso, la variabilità dell’isoforma può spiegare fino al 70% dei livelli plasmatici a seconda dell’etnia, mentre varianti nel gene LPA determinano variazioni del 30-40%.

 

Misurazione

Le caratteristiche peculiari di Lp(a), come l’elevata eterogeneità, il legame covalente tra apo(a) e apoB e la sua omologia con il plasminogeno, sono state a lungo una sfida importante nello sviluppo di metodiche di dosaggio adatte e affidabili per la sua misurazione.

Esistono attualmente due classi di metodiche per la sua misurazione, quelle dipendenti dalla sua isoforma e quelle non dipendenti. Il metodo “dipendente dall’isoforma” valuta l’intera massa proteica, riportata in mg/dl ed è quello che risulta più facilmente soggetto ad errore. Infatti l’estrema variabilità delle dimensioni delle isoforme apo(a) è associata alla sovrastima dei livelli di Lp(a) in pazienti con grandi isoforme apo(a) e alla sottostima della concentrazione di Lp(a) in quelli con piccole isoforme apo(a). L’altra categoria, “isoforma-indipendente”, riporta Lp(a) in nmol/l. È considerato il gold standard dalla Federazione Internazionale di Chimica Clinica e Medicina di Laboratorio (IFCC) ed è approvato dall’OMS come il metodo di misurazione preferito nella valutazione Lp(a), perché non è influenzato dalle dimensioni dell’apo(a). Un articolo recentemente pubblicato descrive lo sviluppo e la convalida di una metodologia basata sulla spettrometria di massa che si potrebbe porre come metodo di riferimento per la standardizzazione di Lp(a) in quanto non influenzato dalle diverse dimensioni delle isoforme.

La concentrazione di Lp(a) è risultata essere estremamente variabile tra le diverse popolazioni etniche: mentre i caucasici hanno livelli generalmente più bassi, i neri americani hanno concentrazioni molto più alte. Studi osservazionali condotti su popolazione caucasica hanno portato inizialmente alla definizione di 50 mg/dl come valore soglia poiché valori al di sopra di tale limite erano associate ad un aumento degli eventi cardiovascolari. Il limite di 50 mg/dl è stato utilizzato per la prima volta dalla European Society of Cardiology nel 2016 e dalle linee guida dell’American Heart Association del 2018. Ciò che oggi è chiaro, tuttavia, è che anche al di sotto dei 50 mg/dl si registra un aumento del rischio cardiovascolare. Nello studio multietnico sull’aterosclerosi, Guan et al. sottolineano che il limite di 50 mg/dl può essere un utile predittore del rischio cardiovascolare nei bianchi americani, mentre una soglia di 30 mg/dl è più appropriata nei neri americani.

 

Terapia

Nonostante un’associazione consolidata tra alti livelli di rischio di Lp(a) e di eventi di CVD, non sono state fornite raccomandazioni specifiche sulla terapia farmacologica mirata alla riduzione del livello di Lp(a) nelle dichiarazioni degli esperti e nelle linee guida sulla gestione della dislipidemia.

L’effetto delle statine nella riduzione dei livelli di Lp(a) è controverso. Diversi studi hanno mostrato un aumento dei livelli di Lp(a) in relazione al trattamento con statine, ma questa tendenza sembra limitata ai pazienti con fenotipo caratterizzato un basso peso molecolare dell’apo(a).

Sebbene la niacina fosse stata precedentemente suggerita come terapia per abbassare l’Lp(a) in pazienti ad alto rischio, sulla base dei risultati di due studi clinici (AIM-HIGH e HPS2-THRIVE), è stato dimostrato che riduce i livelli di Lp(a) ma non migliora i risultati dell’ASCVD.

Dopo la pubblicazione delle subanalisi di due studi di prevenzione secondaria con inibitori PCSK9, lo studio FOURIER con evolocumab e lo studio ODYSSEY OUTCOMES con alirocumab, è emersa una certa speranza che questi farmaci possano diventare utili in pazienti con alti livelli di Lp(a). Analisi post hoc hanno però dimostrato che l’abbassamento del livello di Lp(a) indotto dal trattamento con evolocumab o alirocumab, di circa il 20-25% rispetto al basale, non ha determinato una riduzione significativa degli eventi coronarici avversi rilevanti in modo indipendente rispetto all’abbassamento del livello di LDL-C. Ridurre il rischio di MACE prendendo di mira Lp(a) richiede quindi maggiori riduzioni di Lp(a), con terapie più potenti e/o livelli iniziali di Lp(a) più alti.

Il mipomersen è un ASO 2-O-metossi-etil-modificato indirizzato all’ mRNA di apoB che fa diminuire la sintesi di apoB tramite inibizione della traduzione del mRNA. È in grado di ridurre LDL-C e Lp(a) tra il 21 e il 50%, ma il profilo di effetti collaterali è tale che il suo uso è limitato a soggetti con FH omozigote, e non è appropriato per l’abbassamento di routine di Lp(a).

L’aferesi è attualmente l’unico trattamento definito capace di portare ad una importante riduzione della lp(a). L’aferesi riduce il livello di Lp(a) del 60-70% per ogni sessione terapeutica, in genere da 4 a 6-L di plasma vengono scambiati in circa 2-4 ore in sessioni settimanali o bisettimanali. Nonostante un decremento acuto del 70-75%, le sessioni regolari di aferesi possono tradursi in una significativa riduzione dell’efficacia media di rimozione della Lp(a) che si assesta tra il 25% e il 40%. Queste procedure sono associate con gli effetti collaterali minimi, ma sono cost e time consuming e sono attualmente riservate ai pazienti con alti livelli di Lp(a) e malattia cardiovascolare grave.

Ad oggi però sono in corso studi di fase 3 e di fase 2 con alcune molecole specifiche per la Lp(a) in grado di determinare riduzioni decisamente più alte (fino al 70%) e dunque verosimilmente una riduzione significativa degli eventi CV. Tra i farmaci sperimentali sono da segnalare:

  • Pelacarsen (TQJ230): è il farmaco più avanti dal punto di vista della ricerca. Si tratta di un oligonucleotide antisenso di cui è in corso il trial multicentrico in fase 3 HORIZON il cui arruolamento si è chiuso a marzo 2022 con 8221 pazienti arruolati. Alcuni pazienti sono già al 2° anno di follow-up.
  • Olpasiran (AMG890): piccolo RNA interferente che ha determinato una riduzione dei livelli di Lp(a) tra il 71% e il 96% a 43 giorni di distanza dall’inizio della terapia, e dell’80% e del 94% al 113 giorno. Si è dimostrato però meno efficace negli individui con livelli di Lp(a) superiori alle 200 nmol/l. Entro la fine del 2022 dovrebbe partire ufficialmente anche in Italia l’arruolamento dei pazienti in uno studio di fase 3°.
  • AKCEA-APO(a)-LRx: oligonucleotide antisenso diretto contro la sintesi della Lp(a) negli epatociti, in uno studio di fase 2b ha dimostrato una riduzione fino all’80% della Lp(a) senza effetti collaterali significativi.

Bibliografia

Cesaro A, Schiavo A, Moscarella E, et al. Lipoprotein(a): a genetic marker for cardiovascular disease and target for emerging therapies. J Cardiovasc Med (Hagerstown) 2021 Mar 1;22(3):151-161.
Kamstrup PR. Lipoprotein(a) and cardiovascular disease. Clin Chem 2021;67(1):154-166.