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A cura di Francesco Spannella (Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Università Politecnica delle Marche), Gruppo di studio dei Giovani ricercatori della SIIA

L’ipertensione arteriosa resistente al trattamento, definita come pressione arteriosa elevata nonostante l’uso concomitante di almeno tre farmaci antipertensivi di classi diverse, incluso un diuretico, si associa ad un rischio notevolmente aumentato di eventi avversi cardiovascolari e renali. In questa condizione non rara, che arriva ad interessare fino al 10% della popolazione ipertesa, uno dei farmaci di quarta linea suggerito dalle linee guida è un antagonista del recettore dei mineralcorticoidi (es. spironolattone). Tuttavia, l’introduzione di questo farmaco non sempre riesce a portare a target il paziente e presenta inoltre effetti avversi comuni e limitanti la dose. In un recente studio di fase 2 pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, Freeman MW et al. hanno testato l’efficacia e la sicurezza del baxdrostat, un inibitore selettivo dell’aldosterone sintetasi, enzima noto anche come CYP11B2. Questo farmaco presenta un’elevata selettività (rapporto di selettività 100:1) per l’aldosterone sintetasi rispetto all’enzima richiesto per la sintesi del cortisolo (11β-idrossilasi). Questo studio multicentrico randomizzato controllato ha coinvolto 248 pazienti con ipertensione resistente. Dopo un periodo di run-in di 2 settimane al fine anche di accertare l’aderenza terapeutica dei pazienti arruolati, i pazienti sono stati sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 0,5 mg, 1 mg o 2 mg di baxdrostat una volta al giorno o placebo per 12 settimane. A 12 settimane, baxdrostat è stato associato ad una significativa diminuzione dose-dipendente della pressione arteriosa (per la pressione sistolica: -20,3 ± 2,1 mmHg, -17,5 ± 2,0 mmHg e -12,1 ± 1,9 mmHg alle dosi di 2 mg, 1 mg e 0,5 mg, rispettivamente, con una differenza significativa rispetto al placebo di -11,0 mmHg per la dose di 2 mg e -8,1 mmHg per la dose di 1 mg). Contestualmente si è assistito ad un abbassamento dei livelli sierici di aldosterone e un compensatorio aumento dei livelli plasmatici di attività reninica, senza significative variazioni del cortisolo sierico. Gli eventi avversi di interesse, come ipotensione, iponatriemia o ipokaliemia, hanno riguardato meno del 5% dei pazienti. Nessuno degli eventi avversi gravi è stato ritenuto dagli investigatori correlato a baxdrostat o placebo.

I risultati di questo studio e la buona risposta pressoria all’inibizione della sintesi dell’aldosterone sono in conformità con i dati dello studio PATHWAY-2 (Prevention and Treatment of Hypertension with Algorithm-based Therapy-2), in cui lo spironolattone aveva ridotto maggiormente la pressione arteriosa rispetto a bisoprololo e doxazosina, e dei suoi tre sottostudi meccanicistici, supportando l’ipotesi che, nella maggior parte dei casi, alla base dell’ipertensione resistente ci sia uno stato di eccessiva ritenzione idro-salina, verosimilmente a causa della secrezione inappropriata di aldosterone, senza che vi sia un vero iperaldosteronismo primario.

Il baxdrostat sembrerebbe quindi porsi come una valida alternativa al “classico” antagonismo a livello del recettore dei mineralcorticoidi, superando gli effetti avversi tipici di quest’ultima classe di farmaci, legati all’interferenza con gli altri recettori degli ormoni steroidei (es. ginecomastia negli uomini, irregolarità mestruali e sanguinamento postmenopausale nelle donne e calo della libido in entrambi i sessi).

L’azione selettiva del baxdrostat sembrerebbe, inoltre, scongiurare il rischio di indurre insufficienza surrenalica legata alla concomitante inibizione della sintesi di cortisolo data dalla 11β- idrossilasi, che condivide il 93% della sequenza proteica con l’aldosterone sintetasi. Tuttavia,  rimangono ancora da chiarire alcuni aspetti: ad esempio la possibile perdita di efficacia a lungo termine che può derivare dall’accumulo di precursori steroidei che attivano comunque il recettore dei mineralcorticoidi, come osservato con gli inibitori dell’aldosterone sintetasi di prima generazione.

Quindi, i risultati incoraggianti di questo trial richiedono conferme in ulteriori studi di fase 3 che coinvolgano più pazienti per un periodo più lungo, magari comparandolo anche con gli altri farmaci antipertensivi attualmente in commercio.

In conclusione, insieme ai più selettivi antagonisti non steroidei del recettore dei mineralcorticoidi come il finerenone e l’esaxerenone, gli oligonucleotidi antisenso ed i siRNA (small  interfering RNA) progettati per inibire la sintesi di angiotensinogeno nel fegato, che sono in fase di studio, l’inibizione della sintesi di aldosterone con baxdrostat potrebbe ampliare le possibili scelte di agenti terapeutici per l’ipertensione resistente.

Bibliografia
Freeman MW, Halvorsen YD, Marshall W, et al. Phase 2 Trial of Baxdrostat for Treatment-Resistant Hypertension. N Engl J Med. 2023 Feb 2;388(5):395-405.
Leopold JA, Ingelfinger JR. Aldosterone and Treatment-Resistant Hypertension. N Engl J Med. 2023 Feb 2;388(5):464-467.