A cura di Alessandro Maloberti (Cardiologia 4, ASST GOM Niguarda, Milano), Alessandro Mengozzi (Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa), Elisa Russo (Dipartimento di Medicina Interna – DIMI, Università degli Studi di Genova), Arrigo Cicero (Gruppo di ricerca su Ipertensione e Rischio cardiovascolare, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; Unità di Medicina Cardiovascolare, IRCCS AOU S. Orsola di Bologna), Alice Grasso (Cardiologia 4, ASST GOM Niguarda, Milano), Michela Algeri (Cardiologia 4, ASST GOM Niguarda, Milano)
Il gruppo di studio sull’Acido Urico (AU) della nostra società ha pensato nel 2018 il grande progetto multicentrico URRAH (Uric acid Right for heaRt Health). Come già descritto in precedenti paper,1 si tratta di uno studio di coorte nato dall’unione dei database di membri della nostra società nei quali erano disponibili la fenotipizzazione cardiovascolare (CV), i dati di AU e gli eventi e la mortalità CV. Dal 2018 ad oggi sono stati pubblicati un totale di 16 paper su riviste indicizzate peer-reviewed e altri sono ancora in fase di analisi e stesura.
Scopo del progetto, come dice il nome stesso, era quello di individuare il cut-off maggiormente predittivo per i differenti eventi CV e la mortalità CV, ma le analisi si sono spinte ben oltre. In questa prima newsletter revisioneremo gli studi che si sono concentrati sugli eventi CV mentre saranno pubblicate due successive puntate sugli studi dedicati all’interazione AU-funzione renale e sindrome metabolica.
Il primo lavoro pubblicato ha identificato il cut-off più adeguato nel predire il rischio di morte per tutte le cause e la mortalità CV.2 Focalizzandoci su quest’ultima, durante il follow-up sono state identificate 1571 morti CV (su 3.279 morti per tutte le cause, 47.9%), e SUA correla significativamente nell’analisi univariata (IRR: 1.28; 95% CI 1.24-1.33, p<0.001). All’analisi multivariata con tutti i classici fattori di rischio CV inseriti come covariabili, l’associazione non solo persisteva significativa ma addirittura la sua forza aumentava (RR 2.08; 95% CI 1.46-2.97, p<0.001).
Come atteso nell’ipotesi del progetto, è stato trovato un cut-off più basso rispetto a quello classico (6 mg/dl per le donne e 7 mg/dl per gli uomini). Dall’analisi della curva ROC, il punto ottimale per la mortalità CV era 5.6 mg/dl. Inoltre, l’aggiunta dei valori di AU aumentava la predittività dell’Heart Score (Harrell’s C 0.780 vs. 0.754, p<0.001) e riclassificava correttamente il 40,06% di soggetti senza eventi rispetto al Heart Score, fornendo un Net Reclassification Improvement di 0.27 (p<0.001).
Il secondo articolo pubblicato3 riguardava il cut-off per predire l’infarto miocardico (MI) fatale che si era presentato in 445 soggetti durante il follow-up. UA presentava una significativa associazione con l’IM fatale (RR 1.146; 95% CI 1.060-1.239, p=0.0007) con il miglior cut-off che era 5.70 mg/dl. Quando sono state eseguite analisi genere-specifiche, l’associazione è stata confermata come significativa nelle donne (RR 0.136; 95% CI 0.058-0.215, p<0.001) ma non negli uomini (RR: 0.088, p=0.2).
Un altro articolo sul progetto URRAH era focalizzato sullo scompenso cardiaco (SC).4 AU è risultato essere un predittore significativo di SC (RR: 1.29; 95% CI 1.23-1.359, p<0.001) e di SC fatale (RR: 1.268; 95% CI 1.121-1.35, p<0.001). I cut-off maggiormente discriminanti erano 5.34 mg/dl e 4.89 mg/dl, rispettivamente. I nostri risultati concordano con altri studi e meta-analisi sull’abilità di AU di predire lo sviluppo di SC.5, 6 Ciononostante, i risultati di alcuni articoli pubblicati sono più eterogenei quando AU viene valutato in pazienti che già presentano SC. In questi pazienti, AU può agire come fattore dannoso sulla funzione ventricolare sinistra e sul metabolismo, ma potrebbe essere vero anche l’opposto, ovvero che una peggiore vascolarizzazione dei tessuti periferici potrebbe aumentare i livelli di AU. Infatti, AU può essere il risultato di un incremento della degradazione delle purine determinato da ipossia e da catabolismo tessutale, il quale determina anche un incremento del rilascio di lattati che a loro volta riducono l’eliminazione di AU da parte del rene.7 L’insufficienza renale sappiamo essere una frequente comorbilità dello SC (e dunque una minore cleareance di AU) ed è inoltre stato trovato un aumento dell’attività della xantina ossidali nello SC acuto.8
Un problema nell’interpretare la relazione tra AU e SC è quello collegato all’uso di diuretici. I trattamenti diuretici (specialmente i tiazidici) sono in grado di determinare un aumento del riassorbimento dell’urato renale che porta allo sviluppo di iperuricemia. I diuretici sono abbastanza comuni nei pazienti ipertesi e rappresentano l’opzione terapeutica principale per ridurre la congestione nei pazienti con SC. Questi effetti secondari dei diuretici sono stati considerati un problema benigno, ma i dati dallo studio URRAH vanno contro questa ipotesi. In una analisi specifica del nostro database, abbiamo trovato che il 17.2% degli individui assumeva diuretici ed il 58% dei soggetti aveva valori di AU più alti del valore mediano (4.8 mg/dl).9 I soggetti con iperuricemia che assumono diuretici sembrano presentare una più alta incidenza di morte per tutte le cause (21.9 vs. 19.0%, p<0.001) ed eventi CV primari (11.3 vs. 8.1%, p<0.001) se confrontati con soggetti con iperuricemia che non usavano diuretici, mentre non sono state trovate differenze per quanto riguarda la mortalità per cause CV (5.1 vs 4.1%, p=0.013). Alla successiva analisi multivariata (con covariate età, sesso, pressione sistolica, indice di massa corporea, glicemia, colesterolo totale e HDL, storia di fumo, terapie cardiovascolari e velocità di filtrazione glomerulare), le conclusioni sopra-citate non sono state confermate per tutti e tre i risultati considerati individuando dunque una uguale prevalenza di eventi negli iperuricemici indipendentemente che essa sia legata ai diuretici oppure no.
Poiché l’ipotesi centrale che lega l’AU agli eventi CV è il ruolo della xantina ossidasi come trigger dello stress ossidativo, si pensava che la riduzione di escrezione renale di AU indotta dai diuretici non fosse correlata a un aumento degli eventi CV. Nonostante questo studio presenti delle limitazioni, è stato il primo a confermare che l’iperuricemia diuretico-relata è associata a un significativo aumento di patologie CV e mortalità. Le due limitazioni maggiori sono state il non poter discriminare tre pazienti con ridotta escrezione e quelli con sovraproduzione di AU (infatti, la presenza di iperuricemia durante l’uso di diuretici non esclude automaticamente la coesistenza di una aumentata produzione) ma anche il fatto che i farmaci diuretici non erano ulteriormente divisi per sottoclassi e in particolare i tiazidici che sono quelli che più frequentemente danno questo effetto collaterale.
Per completare i dati sulla relazione tra AU ed eventi CV, è stata fatta anche un’analisi sull’ictus.10 AU è stato associato, in una analisi di regressione multivariata aggiustata per i principali fattori confondenti (età, sesso, ipertensione arteriosa, diabete, insufficienza renale cronica, fumo, alcol, indice di massa corporea, colesterolo LDL e uso di diuretici), con un RR di 1.249 (95% CI 1.041-1.497, p=0.016) ed il valore di 4.79 mg/dl è stato identificato come miglior cut-off prognostico.
Due successivi articoli dello studio URRAH si focalizzano sui fattori che potrebbero modificare la relazione tra AU e mortalità CV. Il primo si concentra sulla frequenza cardiaca e la possibilità che l’azione di AU sugli eventi CV avvenga anche attraverso un incremento dell’attività simpatica.11 Infatti, la frequenza cardiaca è un fattore di rischio CV noto che danneggia direttamente il cuore e le pareti arteriose, ma rappresenta anche un marker di iperattività del sistema nervoso simpatico. Alla multivariata, ogni aumento unitario di AU determina un aumento unitario dell’RR per mortalità CV del 9.4%, mentre l’incremento era del 5.3% per ogni unità di incremento della frequenza cardiaca. In una analisi categorica, è stato notato come l’iperuricemia (SUA>5.5 mg/dl) era associata ad un RR più alto per la mortalità CV in soggetti con elevata frequenza cardiaca. In particolare, l’RR in soggetti con una frequenza cardiaca al di sotto del valore mediano (71.3 bpm) era 1.38 (95% CI 1.20-1.59), mentre aumenta a 2.09 (95% CI 1.75-2.51) in quelli con valori sopra la mediana. Quindi, si potrebbe ipotizzare che una iperattività del sistema nervoso simpatico favorisca l’azione dell’acido urico sugli eventi CV.
Infine, l’articolo URRAH pubblicato più recentemente si è focalizzato sulla relazione tra AU e l’ipertrofia ventricolare sinistra (LVH) e sulla possibilità che questo danno d’organo modifichi la relazione tra AU e mortalità CV.12 Alla multivariata, AU era significativamente associato con l’indice di massa ventricolare sinistra in uomini e donne (beta=0.095 e 0.069, rispettivamente, p<0.001 per entrambe le analisi). Sia AU che LVH erano associate a morte CV (RR iperuricemia 1.751; 95%CI 1.394-2199, p=0.001; RR LVH 2.050; 95% CI 1.576- 2.668, p=0.001). La presenza combinata di iperuricemia (SUA>5.1 mg/dl per le donne e >5.6 mg/dl per gli uomini2) e LVH (LVMI>95 g/m2 per le donne e >115 g/m2 per gli uomini) aumenta significativamente l’RR per la mortalità CV in confronto ai due fattori presi individualmente con un RR complessivo di 3.785 (95% CI 1.789-8.008) per le donne e 5.273 (95% CI 3.044-9.135) per gli uomini.
In conclusione, i dati provenienti dallo studio URRAH suggeriscono che altri fattori possono regolare il contributo di AU alla mortalità CV in modo particolare la presenza di tachicardia e di LVH.
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