A cura di Arrigo F.G. Cicero, Federica Fogacci, Centro per lo studio dell’ipertensione arteriosa e fattori di rischio cardiovascolari, Dipartimento di Scienze mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
La malattia di Alzheimer è una delle forme di demenza più comuni fra gli anziani nei paesi occidentali. Non si può né prevenire né, al momento, efficacemente trattare. Solo una piccola parte dei casi di malattia di Alzheimer ha una causa genetica definita. Nella maggior parte manca un chiaro evento causale, ma molti fattori modificabili sono stati associati ad un aumento di rischio di questa condizione. In particolare, una ipertensione arteriosa persistente dall’età di mezzo è uno di questi fattori di rischio, che potrebbe essere efficacemente controllato attraverso modificazioni di dieta, stile di vita e farmaci antipertensivi. Identificare i meccanismi molecolari che correlano fattori di rischio modificabili con l’aumento del rischio di malattia di Alzheimer potrebbe migliorare la nostra capacità di comprendere la malattia e identificare nuovi target ed approcci terapeutici efficaci.
La neuroinfiammazione mediata dalla glia sembra essere una delle caratteristiche peculiari della malattia di Alzheimer. Studi su modello animale hanno mostrato come valori pressori cronicamente elevati portino a una attivazione patologica della glia con conseguente infiammazione cerebrale. Crescenti evidenze correlano danno microvascolare e attivazione locale del sistema renina-angiotensina-aldosterone come elemento patogenetico chiave nel legare ipertensione, neuroinfiammazione e neurodegenerazione ad essa correlata. Da un punto di vista citochinico, i principali mediatori proinfiammatori coinvolti sembrano essere il tumor necrosis factor (TNF)-α e l’interleuchina (IL)-1β.
Numerose sottoanalisi di trial clinici e studi osservazionali mostrano come il trattamento antipertensivo ritardi il declino cognitivo e riduca il rischio di demenza: questi dati tuttavia supportano il fatto che un’adeguata gestione dei fattori di rischio cardiovascolare riduce il danno microvascolare indotto dagli stessi e di conseguente la componente vascolare del declino cognitivo. Tuttavia, in vitro e in vivo diversi farmaci antipertensivi sembrano avere un impatto diretto circa l’attivazione della glia e la neuroinfiammazione conseguente. Quindi i farmaci antipertensivi sembrano rallentare la manifestazione clinica della malattia di Alzheimer, sia direttamente via ottimizzazione della pressione arteriosa, sia indirettamente per azione antineuroinfiammatoria. In particolare questo è stato dimostrato per modulatori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, calcio-antagonisti, idralazina. La microglia infatti esprime ACE così come AT1R ed AT2R. In particolare, l’azione proinfiamattoria dell’angiotensina-II nel nucleo paraventricolare è mediata da AT1R.
Il captopril, inibisce la produzione di ossido nitrico e di TNF-α da parte di cellule gliali stimolate da lipopolisaccaride. La somministrazione intranasale di captopril in un modello di topo con Alzheimer per 3 settimane e mezzo ha mostrato una significativa riduzione nell’esposizione corticale di CD11b, un marcatore di attivazione microgliale, e dopo due mesi anche di beta-amiloide corticale. Attivando AT2R., che ha un’azione specificamente antinflammatoria, con molecole specifiche come C21 and CGP42112, o usando un noto AT1R antagonista come il losartan, si ottiene una dowenregulation dell’attivazione microgliale della sintesi di un pool di mediatori antinfiammatori (IL-1β, IL-6, CCL2, CCL3, CXCL10 e TNF-α. Tutto questo è ampiamente dettagliato nell’interessante review pubblicata da Bajwa e Klegeris su Nerual Regen Res.
Al di là dei dati sperimentali, la conclusione è di ottimizzare la pressione arteriosa quanto prima possibile ed in modo più persistente possibile per ridurre il rischio di declino cognitivo in età più avanzata, specie impiegando modulatori del sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Bibliografia
Bajwa E, Klegeris A. Neuroinflammation as a mechanism linking hypertension with the increased risk of Alzheimer’s disease. Neural Regen Res 2022;17(11):2342-2346.